30 gennaio 2011

Il ring della democrazia - Quando eravamo re


La democrazia senza regole è come un vicolo buio dove ci si trova alla mercé dei delinquenti. Se però le regole, quindi le leggi, le fanno i delinquenti, tutto può avvenire alla luce del sole.

Ho l'onore di ripresentare queste meravigliose parole di uno dei più grandi eroi viventi della storia contemporanea, Muhammad Alì, che oggi spiccano insieme ad altre considerazioni molto interessanti nel blog di Beppe Grillo da cui ho tratto spunto. Non si può scindere il voto popolare dalle regole ed anche se parte degli italiani appoggiano incoscientemente la difesa della illegalità, ci conforta sapere che uomini più saggi di noi hanno stabilito, prevedendo probabilmente simili futuri affronti alla giustizia, dei principi etici imprescindibili da qualsiasi volontà e che non possono essere indecentemente oltraggiati da onorevoli avvocati schiavi di un sistema fuori del quale sarebbero solo spazzatura. Loro devono muoversi come in un campo minato per identificare le falle di un sistema di leggi evidentemente non perfetto, noi dobbiamo semplicemente citare gli articoli principali della costituzione. Loro devono salvare il loro padrone, noi non abbiamo padroni. Loro devono difendere l'immagine dell'uomo vincente pronto a tutto pur di arrivare a comandare un impero, noi la combattiamo. Loro devono scendere a compromessi con la chiesa, quella del potere, per ottenere i consensi per governare; noi pretendiamo uno stato che abbia il coraggio di affrontarla. Loro attendono un responso, noi no. La storia li ha già sconfitti, la storia è e sarà sempre dalla parte di chi difende i diritti dell'uomo e si pone a difesa della giustizia. Le loro leggi verranno cancellate, una ad una, la loro memoria estinta, i loro giornali considerati immondizia. Nel frattempo rimaniamo qui seduti sulla sponda del fiume, antichi proverbi ci insegnano che prima o poi vedremo passare qualcuno, ma noi invece ci accontentiamo di aspettare quella primavera di cui parla Battiato che però purtroppo.......tarda ad arrivare. Bene, per essere la presentazione di un documentario sul pugilato penso che possa bastare.

29 gennaio 2011

Il discorso agli ateniesi di Pericle del 461a.c.


Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.

28 gennaio 2011

Il Parlamento cerca di strappare alla Procura di Milano la causa del Presidente del Consiglio



El Parlamento trata de quitar a la Fiscalía de Milán la causa de B. La Junta de Autorizaciones de la Cámara de Diputados decidió ayer, por 11 votos contra 8, que el Tribunal de Milán no es competente para encausar a S.B. La nueva estrategia política del primer ministro trata de arrebatar (strappare) la causa a los fiscales milaneses para trasladarla al Tribunal de Ministros, más afín al poder político, y deberá ser refrendada (vidimata) por el pleno del Parlamento. El Partido Democrático definió la maniobra como ilegítima e Italia de los Valores la consideró un "golpe de Estado" (Miguel Mora - El país).

26 gennaio 2011

Il governo britannico contrario all'aumento di stipendio dei parlamentari


Visti i tempi di crisi e lo scandalo dei rimborsi gonfiati, l'esecutivo vuole bloccare l'incremento dell'1% nella busta paga dei membri di Westminster. Tale aumento porterebbe la busta paga dei parlamentari di Westminster da 65.738 a 66.395 sterline all’anno (circa 78.000 euro). Una cifra ben più modesta rispetto a quelle dei loro colleghi italiani, che un’inchiesta del Times del 2005 aveva già indicato come i più pagati nei principali Stati europei. I dati di allora registravano oltre 144.000 euro annuali per deputati e senatori italiani, ben 60.000 euro in più rispetto ai loro colleghi anglosassoni. Attualmente, come riportato dal sito web della Camera, un deputato italiano riceve uno stipendio mensile di 5.486 euro, a cui va sommata una diaria per il soggiorno a Roma di 3.503 euro (che si riduce di 200 euro per ogni giorno di assenza del deputato dalle votazioni) e altri 3.690 euro per ciò che viene definito “rapporto tra eletto ed elettori”. Solo queste tre voci fanno un gruzzolo di oltre 12.500 euro al mese, che su base annua possono andare a sfondare il tetto dei 150.000 euro. Primato che non verrebbe certo messo a rischio dall’aumento dell’1 per cento degli stipendi anglosassoni (Davide Ghilotti - Il Fatto quotidiano).

Workingman's Death


Workingman's Death segue il lavoro dei minatori in Ucraina, di quelli che maneggiano i sulfuri in Indonesia, in Nigeria, in Pakistan, i lavoratori dell'acciaio in Cina, fino a spostarsi nella "civilizzata" Germania. Il documentario si prefigge di illustrare la condizione del massacrante lavoro manuale in tutto il mondo: lontano dallo scomparire, nonostante le conquiste tecnologiche, sta divenendo "invisibile" come le persone che sono costrette a farlo per un compenso irrisorio. A illustrare la 'filosofia' di questo interessante documentario bastano la prima delle cinque parti in cui è suddiviso e la citazione iniziale da Faulkner che si può riassumere così:" Non c'è niente nella vita degli uomini che si possa fare per otto ore consecutive. Né mangiare, né bere, né fare l'amore. Con un'eccezione: lavorare. E' per questo che gran parte dell'umanità rovina la propria e l'altrui vita." I minatori clandestini dell'ex Unione Sovietica in balia di un liberismo che ha annullato qualsiasi copertura sociale vengono seguiti, nel primo episodio, mentre scavano in cunicoli pericolosi per estrarre qualche chilo di carbone. Il modello che gli proponeva il regime comunista era l'indefesso operaio Stakanov. Quella che si trovano davanti ora è una vita come la sua senza più l'orpello della propaganda ma con l'ansia quotidiana di non sapere come dar da mangiare ai propri figli. Gli operai non sono più 'compagni'(e non rimpiangono certo i passati governi) ma vorrebbero essere considerati 'persone'. Le ferre leggi del 'libero' mercato non glielo consentono.

25 gennaio 2011

Egitto: rivolta contro Mubarak



In circa 25mila - secondo gli organizzatori, 10mila secondo il ministero degli Interni - sono scesi oggi in piazza al Cairo per chiedere riforme politiche e sociali, sul modello della "Rivoluzione del gelsomino" in Tunisia. Una mobilitazione che si è trasformata in scontro aperto con le forze dell'ordine e che ha lasciato sul terreno quattro vittime. Un poliziotto è morto dopo essere stato travolto dalla folla negli scontri a piazza Taharir, altre tre persone sono morte a Suez. I manifestanti hanno attaccato la polizia con un fitto lancio di sassi, le forze di sicurezza sono state costrette a ritirarsi dalla piazza malgrado il fitto lancio di lacrimogeni e l'impiego di blindati e idranti. Molti manifestanti sono rimasti feriti, oltre una decina gravemente, mentre circa 20 persone sono state fermate dopo aver tentato di assalire il Parlamento. "Fuori" e "Vattene" gli slogan all'indirizzo del presidente egiziano Hosni Mubarak. Numerosi presidi e cortei anche nelle città di provincia, soprattutto ad Alessandria, ad Assuan e Assiut, in diverse città sul delta del Nilo, a Ismailia sul canale di Suez e nel nord del Sinai.

Strage all'aeroporto Domodedovo di Mosca


Come nell'attacco alla metropolitana a marzo dell'anno scorso, sarebbe stata una donna a commettere l'attentato suicida all'aeroporto Domodedovo di Mosca, in cui ieri 35 persone hanno perso la vita e 168 sono rimaste ferite. La stampa russa torna a parlare delle 'vedove nere' del Nord Caucaso,  donne che hanno perso i rispettivi mariti, rimasti uccisi in azione, e che per vendicarne la morte si sono messe volontariamente a disposizione della guerriglia separatista islamica come aspiranti kamikaze. Secondo una fonte della polizia citata dall'agenzia Ria-Novosti, la donna era probabilmente accompagnata da un complice, forse da un 'combattente' di origine araba. Entrambi sarebbero morti con l'esplosione. Ma la notizia non è ancora stata confermata ufficialmente. Per il il quotidiano Kommersant l'attentatrice avrebbe fatto parte di un commando arrivato dal Caucaso settentrionale. Con ogni probabilità dalla Cecenia. Gli inquirenti non hanno dubbi infatti sulla matrice caucasica dell'azione terroristica: "Le modalità sono quelle tradizionali dei terroristi provenienti dal Caucaso del Nord", ossia da repubbliche ribelli musulmane come Cecenia, Daghestan e Inguscezia, ha detto il funzionario che ha chiesto di rimanere anonimo (La Repubblica).

24 gennaio 2011

"Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò il mio impero immobiliare.....esente da imposte"



Immobili di proprietà della Santa Sede resteranno esenti dal pagamento dell’Imu (Imposta municipale unificata), la tassa che con il federalismo sostituirà l’Ici. Il testo del federalismo fiscale, nella sua ultima versione, reintroduce l’esenzione dalla nuova imposta per quegli immobili ecclesiastici adibiti ad attività commerciali e di ricezione. Sono questi gli edifici al centro delle polemiche mosse dai Comuni che lamentano mancate entrate e dagli albergatori che parlano di concorrenza sleale. A difendere l’esenzione chi vede così salvaguardate le attività di solidarietà della Chiesa (Radio 24). Il punto è che quando l’esenzione fu stabilita per l’Ici provocò molte polemiche. In tanti sostennero che era giusto favorire la Chiesa, ma altrettanti parlarono di trattamento di favore ingiustificato. La questione è stata portata all’attenzione delle autorità di Bruxelles. Furono soprattutto i radicali a sollevare la questione. La Commissione europea si è mossa aprendo un’indagine che si è trasformata in procedura di infrazione. Ora è abbastanza elevato il rischio che si arrivi a una sanzione per l’Italia. «L’avere inserito di nuovo l’esenzione sull’Imu a Bruxelles sarà vissuta come uno sgarbo. Anzi, come la volontà cocciuta di insistere su un privilegio che le autorità comunitarie hanno già detto di non apprezzare», ha spiegato ieri il radicale Maurizio Turco (Controlacrisi.org).

Vedi l'inchiesta di EXIT FILES

23 gennaio 2011

Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010


« Durante gli ultimi decenni la Cina ha fatto enormi progressi economici, forse unici al mondo, e molte persone sono state sollevate dalla povertà. Il Paese ha raggiunto un nuovo status che implica maggiore responsabilità nella scena internazionale, che riguarda anche i diritti politici. L’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso, ma queste libertà in realtà non vengono messe in pratica». «Per oltre due decenni, Liu è stato un grande difensore dell’applicazione di questi diritti, ha preso parte alla protesta di Tienanmen nell’89, è stato tra i firmatari e creatori di Charta 08, manifesto per la democrazia in Cina. Liu ha costantemente sottolineato questi diritti violati dalla Cina. La campagna per il rispetto e l’applicazione dei diritti umani fondamentali è stata portata avanti da tanti cinesi e Liu è diventato il simbolo principale di questa lotta». »
Dopo aver appreso dell'attribuzione del premio le reazioni cinesi sono state scomposte e molto dure. Il governo cinese ha di fatto interrotto la diretta televisiva con il comitato del Nobel, ha censurato tutti i commenti dei leader occidentali e ha richiamato l'ambasciatore norvegese per avere spiegazioni, definendo il premio a Xiaobo una «oscenità» (Articolo).
En vista de que el gobierno chino había amenazado a Noruega con romper relaciones comerciales, el canciller noruego Jonas Gahr Store, envió una respuesta oficial en la que recordaba que la concesión del premio es independiente del gobierno de Noruega, y agregó que la independencia puede ser difícil de entender para el gobierno chino.
Appena saputo del premio, le autorità cinesi hanno messo agli arresti domiciliari la moglie di Liu, nel tentativo di non permetterle contatti con i giornalisti stranieri (articolo). Nei giorni seguenti sono stati posti agli arresti domicialiari tutti i membri della sua famiglia, per impedire che un cinese vada a ritirare il premio ad Oslo.

22 gennaio 2011

Mafia, Cuffaro condannato a 7 anni



L'ex governatore della Sicilia è stato condannato a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Il procuratore generale aveva chiesto uno sconto di pena. "Questa prova ha rafforzato in me il rispetto delle istituzioni", ha detto Cuffaro poco prima di entrare nel carcere di Rebibbia. Cuffaro, eletto al Senato con l’Udc, è poi passato ai Popolari Italia Domani che sostengono il governo.
Al posto di Salvatore Cuffaro in Senato entrerà Maria Pia Castiglione. Candidata nella lista dell'Udc, anche la Castiglione ha aderito al Pid, Popolari Italia Domani, il movimento siciliano in rotta con Casini. "Provo per Totò - dice - un grande dispiacere. Per me resta un amico dotato di grande umanità, disponibilità e generosità. Tutti gli dobbiamo tanto".


"Poveraccio quel Paese in cui ci si deve stupire se un politico condannato, invece di gridare che i magistrati sono dei farabutti e di denunciare complotti contro di lui, ha dichiarato, dopo aver appreso della condanna definitiva a 7 anni di reclusione per favoreggiamento alla mafia, di rispettare la magistratura e, invece di darsi alla fuga (come ha fatto a suo tempo il latitante Craxi, a cui hanno incoscientemente inaugurato una strada a Lissone ) si e' andato a costituire al carcere di Regina Coeli''. Lo scrive il presidente dell'Italia dei valori, Antonio Di Pietro, sul suo blog www.antoniodipietro.it .

L'Albania sull'orlo della guerra civile


È la prima volta che un corteo dell'opposizione dà luogo a violenze del genere, con vittime, dall'inizio della crisi politica che vive l'Albania. L'opposizione guidata da Rama non ha mai riconosciuto i risultati delle elezioni politiche del giugno 2009, accusando il potere di frodi. Da allora, è braccio di ferro. L'opposizione si rifiuta di svolgere un ruolo attivo in Parlamento e annuncia un riconteggio dei voti, richiesta che il governo Berisha non ha mai accettato di assecondare. La manifestazione di venerdì aveva come parole d'ordine le dimissioni di Berisha e la convocazione di elezioni politiche anticipate. Migliaia di dimostranti si erano radunati nel primo pomeriggio di fronte alla sede del governo, nel centro di Tirana, protetta da un importante cordone di agenti. Tre manifestanti sono arrivati morti in ospedale, centrati dalle pallottole. Negli scontri ci sono stati inoltre 55 feriti, tra i quali 25 poliziotti e 30 civili. Le tre vittime sono state «uccise a bruciapelo con armi leggere, con pistole. E la polizia non possiede tali armamenti», ha garantito il primo ministro albanese, Sali Berisha, durante una conferenza stampa. «Ogni responsabilità per questi incidenti e per queste vittime va direttamente attribuita agli organizzatori di questa manifestazione», ha aggiunto. Il capo dell'opposizione socialista, Edi Rama, ha accusato da parte sua la polizia di aver sparato contro i manifestanti, «uccidendo tre innocenti». E dalla sua porta un video che dimostrerebbe inequivocabilmente come a sparare sia stato un membro della Guardia di Repubblica, appostato all'interno della sede del governo.

21 gennaio 2011

Soldi agli studenti più bravi all'Itis Feltrinelli di Milano


All’Itis Feltrinelli di Milano gli studenti con la media più alta saranno premiati alla fine del primo quadrimestre con 150 euro. Un’iniziativa voluta dalla preside che domenica consegnerà il premio agli allievi con la media dell’otto.


Secondo le istituzioni scolastiche è una maniera per premiare il merito e lanciare anche un messaggio agli studenti: i buoni voti sono un valore (Radio 24).

Illustre preside Indinimeo, questa iniziativa di pagare gli studenti meritevoli mi sembra che vada contro ogni principio dell'insegnamento e che non abbia nulla a che vedere con le borse di studio. se altri istituti adottassero le stesse misure inizierebbe una competizione per chi offre di più, giustificata solo da logiche di mercato. è questa la scuola italiana? sembra invece più un'operazione pubblicitaria per far fronte al dimezzamento degli iscritti negli ultimi 10 anni (e mi riferisco al suo istituto in particolare). non le fa onore. questo è l'atteggiamento di un manager, non di qualcuno che è realmente interessato all'istruzione dei suoi studenti. Qui non si tratta di rimanere scandalizzati, la sensazione che provo è disgusto misto a tanta tristezza di vedere la scuola italiana oltraggiata da queste iniziative.

nella speranza che lei possa ripensarci le invio i miei più cordiali saluti
dott. Francesco Paolucci

preside@itisfeltrinelli.it

19 gennaio 2011

The Agronomist


Un uomo e i suoi ideali. Così potremmo presentare il documentario di Jonathan Demme, storia di Jean Dominique, un uomo, un giornalista, un laureato in agraria, che, innamorato di Haiti, il suo paese, acquista una radio e diventa la voce del popolo. Radio Haiti Inter dal 1968 esprime le sue idee in lingua creola, nella moltitudine di emittenti francofone, e propone un punto di vista audace e scomodo, fino a causare più di un esilio per il suo ideatore. Affiancato dalla moglie Michele Montas, Dominique combatte per la democrazia e per le ingiustizie della dittatura verso gli haitiani, con il cuore e con le parole.
Strutturato come un documentario classico, con interviste e immagini di repertorio, The agronomist si regge sulle spalle della fortissima personalità di Dominique, che buca lo schermo con l'entusiasmo per il suo lavoro, o meglio, la sua missione. Sono gli occhi sbarrati, la voce altisonante e la gestualità esagerata, i mezzi che il protagonista utilizza per comunicare. Difficile non rimanere affascinati. E quando la sua vita si fa complessa e pericolosa, si ha il sentore che qualcosa di drammatico accadrà, ma anche la sensazione che certi uomini sono destinati alla leggenda. Spettacolare la colonna sonore di Wyclef Jean (mymovies).

18 gennaio 2011

Il ritorno di Duvalier


In esilio in Francia da 25 anni, l'ex dittatore haitiano Jean-Claude Duvalier, più conosciuto come Baby Doc, è tornato ad Haiti ed è stato arrestato dalla polizia per essere interrogato. Due giudici e una decina di agenti sono entrati nell'hotel dove si era sistemato Duvalier da domenica e l'hanno scortato in un ufficio giudiziario di Port-au-Prince. Le autorità haitiane vogliono capire se Baby Doc, che ora ha 59 anni ed è accusato di aver fatto torture e abusi durante i suoi anni al potere (1971-1986), si sia impadronito di denaro pubblico. Duvalier era rientrato per "dare una mano" al piccolo e poverissimo Paese caraibico, messo ulteriormente in ginocchio dal terremoto di un anno fa e dall'attuale epidemia di colera. Questo avrebbe spiegato nel pomeriggio in una conferenza stampa. L'arresto di Baby Doc, preannunciato negli ambienti giudiziari, era stato chiesto dalla procura generale haitiana. Già all'alba di oggi alcuni poliziotti avevano cercato di eseguire l'ordine ma Duvalier era riuscito a rimanere asserragliato nel lussuoso hotel 'Karibe' di Port-au-Prince. Dopo averlo interrogato gli inquirenti decideranno se rinviarlo a giudizio per peculato aggravato. Ieri il premier Jean-Max Bellerive aveva affermato che l'ex dittatore era "libero di ritornare a casa", in quanto anch'egli "è un cittadino di Haiti". Presidente e dittatore di Haiti dalla morte del padre nell'aprile del 1971, fino al 1986, Jean-Claude Duvalier verso la fine degli anni Settanta adottò metodi di governo repressivi e mise sotto controllo la stampa. Nel 1985, dietro pressione della comunità internazionale, concesse una nuova costituzione che istituiva la carica di primo ministro. Nel 1986 scoppiò una rivolta popolare che lo costrinse alla fuga. Si stabilì in Francia, ma non ottenne mai ufficialmente l'asilo politico. Nel 2004, annunciò la sua intenzione di rientrare ad Haiti e di presentarsi alle elezioni presidenziali, ma l'annuncio è rimasto senza seguito fino a ieri, quando è tornato in patria (la repubblica.it).

Sezione documentari "The Agronomist"


15 gennaio 2011

In fuga il generale affarista inventato dal Sismi


E’ finita come una storia d’altri tempi, di quando i dittatori se ne scappavano furtivamente in aereo portando in valigetta i numeri dei conti correnti svizzeri. Ben Alì, presidente per 5 volte, sempre con maggioranze vicine al 100 per cento dei voti, con lui la Tunisia è finita al 144mo posto nell’Indice della democrazia dell’«Economist», e «Reporters sans frontières» ha messo il suo regime al 143mo posto, su 173, nella classifica della libertà di stampa. Un mondo di spie, insomma, di affari, e di galere e torture, nel quale il generale dalla faccia pulita si muoveva con la naturalezza di chi sta a casa propria, anche perché, poi, la sua stessa presa del potere era nata da un complotto internazionale di spioni, dove gli agenti di Tunisi avevano avuto una mano d’aiuto dal Sismi. Fino alla sera di quel 7 novembre dell’87, a comandare a Tunisi era stato il vecchio presidente Bourguiba, fondatore dello Stato indipendente dal vecchio dominio francese. Ma, nato padre della patria, il leader del Neo-Destour con il passare degli anni era diventato un nonno della patria, con tutti i tratti tipici della demenza senile. Confortato dagli uomini che il suo ruolo di primo ministro e le sue alleanze di capospione hanno messo ai posti giusti Ben Alì, nella notte tra il 6 e il 7 novembre porta a palazzo un manipolo di professoroni in camice bianco che dichiarano «incapace di intendere e di volere» il semiaddormentato Bourguiba. Annuncio dello stato di emergenza, l’esercito che prende il controllo della tv e delle gendarmerie, e il golpe bianco è fatto. Ma accadde più tardi, nell’ottobre del ‘99, che a Roma, di fronte alla Commissione Stragi, il generale Fulvio Martini, che per 7 anni è stato capo del Sismi sotto i governi Craxi, Fanfani, Goria, e Andreotti, e di storie sporche ha pieni i suoi armadi, riveli che «negli anni 1985-1897 fummo noi Sismi a organizzare un colpo di Stato in Tunisia, mettendo il generale Ben Alì al posto di Bourguiba». C’era aria di crisi, laggiù, spiega Martini, con grossi rischi di dare spazio al fondamentalismo in tutto il Maghreb; noi italiani avevamo interessi seri, e il capo del governo Craxi e il ministro degli Esteri Andreotti ci diedero direttive precise. «Ci fu il cambio di potere senza spargere una goccia di sangue» e, un mese dopo il golpe bianco, il presidente dell’Eni, il socialista Reviglio, viaggiava a Tunisi accompagnato da Craxi, a firmare un importante accordo industriale e finanziario.Tutta la presidenza di Ben Alì trascorrerà tra quest’irresistibile attrazione per gli affari e però, contemporaneamente, l’ambizione di fare della Tunisia un paese moderno, aperto agli investimenti, spinto a sganciarsi dal sottosviluppo. Ma la corruzione, estesa, endemica, pilotata dallo stesso Palazzo, segna ogni pagina - anche la più marginale - del processo di modernizzazione, e alla testa pare porsi con le sue sfrenate ambizioni la stessa Presidenta, la moglie Leila, inseguita oggi dall’odio di tutto il paese in festa, che fa di lei la «Padrina» della mafia che dai saloni del Palazzo comandava tangenti e flussi sporchi di denaro illegale. All’estero, il generale dal viso pulito e la Padrina ora aspettano soltanto che li si dimentichi. Ma a Tunisi, in un paese dove la speranza dev’essere reinventata, i giudici preparano i loro incartamenti d’accusa. Sono storie senza geografia.
Mimmo Càndito