16 agosto 2012

Meritocrazia, I love you



Quando un concetto viene insistentemente impiegato fino ad essere adottato come pseudo linea guida, tanto dai politici di destra che da quelli di sinistra, in un Paese dove la corruzione, il clientelismo, l'ignoranza, il nepotismo e la collusione dello Stato con la criminalitá organizzata sono una triste realtá, allora comincia a sorgere timidamente l'ombra di un dubbio. Mi staranno allegramente raggirando? In effetti era abbastanza evidente che qualcosa non quadrasse, eppure finché ho vissuto in Italia non sono riuscito a cogliere fino in fondo l'entitá dell'imbroglio. Nella lingua spagnola la parola meritocrazia esiste, ma non é di uso comune, anzi si puó considerare una parola quasi totalmente sconosciuta. Perché? Il merito in questo Paese non viene riconosciuto? O forse sono altri i criteri con cui viene selezionata la classe dirigente? E quali? Avrei voluto scrivere un post a riguardo, ma grazie alle straordinarie capacitá della rete non ci ho messo molto a rendermi conto che sull'argomento é ormai giá stato detto praticamente tutto. Questo il risultato della mia ricerca. Secondo la definizione di Wikipedia, la meritocrazia è una forma di governo dove le cariche amministrative, le cariche pubbliche, e qualsiasi ruolo che richieda responsabilità nei confronti degli altri, è affidata secondo criteri di merito, e non di appartenenza lobbistica, familiare (nepotismo e in senso allargato clientelismo) o di casta economica. Scendendo un pó piú in profonditá scopriamo che, il termine "meritocrazia" fu utilizzato per la prima volta da Michael Young nel suo libro "Rise of the Meritocracy" (1958). Curiosamente il termine era destinato ad un uso dispregiativo, ed il suo libro era lo scenario di un futuro molto poco desiderabile in cui la posizione sociale di un individuo veniva determinata dal suo quoziente intellettivo e dallo sforzo.  Michael Young descrive lo sviluppo e l’ascesa della “cultura del merito” come una macchinazione studiata a tavolino dalle oligarchie tradizionali. Immagina infatti, che in seguito alla riforma scolastica e alla più ampia possibilità di accedere alle università, tali oligarchie vedano indeboliti i loro privilegi e li recuperino "impadronendosi dell’intelligenza". Sembra quasi un film di fantascienza. Eppure Young intendeva elaborare una critica dissacrante verso un sistema educativo estremamente diseguale, che non considerava le condizioni di partenza di ogni singolo individuo portando a forme di stratificazione simili alle esistenti divisioni di classe. Non è per niente facile definire che cosa sia il “merito”. E sono spesso discutibili i criteri con cui si pensa di poterlo riconoscere, stimolare, premiare o retribuire. Risalendo ad Aristotele e in generale alla monumentale cultura greca, ricordiamo che aristocrazia vuol dire “governo dei migliori”. Ottima idea, in teoria. Ma chi decide quali sono i “migliori”? Con quale criterio? Accade molto spesso che i meccanismi scartino, o non sappiano valorizzare, il merito migliore. Le persone più attente, brillanti, davvero innovative, sono spesso bizzarre rispetto alla cultura dominante. Impazienti, impertinenti, irriverenti, disobbedienti, non convenzionali. Scoprire e incoraggiare il talento è un’arte. Difficile, quanto preziosa. Continua....

15 agosto 2012

L'Impero colpisce ancora



Adoro lo sport e le Olimpiadi dovrebbero rappresentare la sua piú elevata celebrazione, purtroppo dello spirito olimpico rimane ben poco. Sotto i riflettori vi sono sempre piú atleti ultra professionisti che ormai sono piú vicini al mondo delle macchine che a quello degli esseri umani, cerimonie dal costo decisamente imbarazzante, sistemi di difesa che ricordano l'epoca dei bombardamenti e le solite immancabili multinazionali antitesi perfetta di qualsiasi cosa che possa possedere uno spirito. Dopo la Cina é adesso un altro l'impero che a suon di medaglie si guadagna l'approvazione internazionale in mondovisione del suo sistema basato sulla dominazione economica di territori disseminati in ogni parte del mondo e di cui la regina é sovrana. Come sarebbe meno opportunistico se gli atleti provenienti da aree disagiate del pianeta potessero venire supportati da un comitato olimpico internazionale invece di essere costretti a vestire i colori della potenza occidentale miglior offerente; magari avendo la possibilitá di gareggiare senza una bandiera (qualora fossero in contrasto con il governo del loro paese di origine). Ma evidentemente le Olimpiadi non sarebbero Olimpiadi senza gli inni nazionali e quel patetico sventolio di bandiere, simboli di devastazione e iper-nazionalismo che facilmente passano in secondo piano davanti alla conquista di una medaglia d'oro. Rimangono da ammirare alcune (sempre piú isolate) gesta di atleti che, al di lá dei formalismi di circostanza, riescono almeno in parte a far rivivere lo spirito olimpico grazie alla passione, al sacrificio, ma soprattutto all'umanitá che comunicano. In occasioni tanto importanti é praticamente impossibile non trasmettere una forma di agonismo ai limiti del patologico, ed è per questo che é soltanto grazie al modo in cui si vince o si perde che i giovani possono interiorizzare un messaggio positivo o negativo dalle prestazioni dei loro campioni. In ogni caso, come 4 anni or sono in Cina, l'apoteosi del nazionalismo é stata raggiunta, l'Impero ha colpito ancora.